Il
taglio sul palmo mi prude.
La
crosta è gialla e l’annuso.
Sa da catarro.
Me la
levo piano e viene via tutta intera, lasciando al suo posto una striscia rossa
lucida.
Vado in
bagno e cerco l’acqua ossigenata.
Crea un
grumo biancastro e un leggero sfrigolio.
Mi
passo anche il mercurio cromo.
Lo
lascio asciugare, mentre colora il palmo della mia mano.
Mi
risistemo sul divano.
Manovro
il telecomando, finché trovo qualcosa che mi annoi. Sintonizzo il televisore e
la mia testa su un’interessante televendita di coltelli. Il ciccione taglia il
mondo. Sarebbe bello se si affettasse l’uccello su quel tavolone di scena,
mentre tutti applaudono estasiati in studio.
Voilà: affettato di salame umano
per tutti.
Ah! Che bella televendita sarebbe!
Ah!
Mi
annoio subito.
Una
signora con i baffi entra in salotto e mi dice qualcosa. Indossa una di quelle
vestagliette con i fiori azzurri e un’ inevitabile macchia di sugo sul pancione
gonfio.
Chissà
che coltelli usa per preparare da mangiare…
Mi
borbotta parole che non capisco.
Penso,
perché sono ancora in mutande e canottiera. Ho pure le mutande macchiate.
E
sanno da pecora.
Oppure, sono io che so da pecora?
Io, la
pecora e le mutande: una piccola trinità puzzolente.
Fa
caldo.
Mi si
appiccica la pelle al divano ricevuto in regalo per una raccomandazione.
Sento
una presenza accanto a me. Mi giro e vedo un signore che fissa il mio taglio
rossiccio sulla mano. Poi, tira su gli occhi e preme il suo sguardo sul mio e
mi domanda: “Hai visto la luce?”.
Ha la
fronte sudata e aspetta una risposta.
Mi
piego verso di lui e scorreggio.
Lui
annuisce e dice “Amen”.
Il
campanello suona.
O è una
campana?
Non so.
Fa troppo caldo.
Sento dei
passi. Sulla soglia si presenta un tizio scuro.
Cazzo!
E’ un
prete!
Sarà
venuto ad esorcizzare le mie mutande, per liberarle dal maligno odore.
Mi
scappa da ridere e la bottiglia di vin santo che avevo nell’altra mano, cade a
terra.
Mi
scruta.
Un
raggio di sole lo illumina e la sua veste nera ondeggia lentamente.
E’ una
bellissima immagine.
Ma mi
annoia subito e stacco le chiappe dal divano per tirare su la bottiglia. Per
fortuna era praticamente finita.
E’
incazzato il tizio. Nero, come il suo abito.
Comincia
a urlare e a frustarmi con un rametto d’ulivo. Foglie verdi volano in giro e
sulla mia pelle cominciano ad affiorare graffi rossi.
Io le
prendo.
In
religioso silenzio.
Finché
compare come un angelo la signora con i baffi e ci divide.
Mi prende
sotto braccio e mi porta in bagno.
Riempie
la vasca d’acqua fresca, mi spoglia e mi tiene mentre mi infilo dentro. La vedo
prendere le mutande e buttarle nel cesto. E’ piacevole veder dondolare il suo
culone mentre raccoglie i vestiti. Cerco di afferrarle una chiappa, ma scivolo
un poco nella vasca e la manco.
Resto
lì per 40 minuti.
Da
solo.
Non
riesco neanche a masturbarmi.
L’acqua
ormai è gelida.
Allora
fisso il crocifisso che penzola sulla parete.
Ho
l’alito che sa d’ alcool e la testa che gira. Medito finalmente di alzarmi e
asciugarmi. Chiamo la signora con i baffi e il culone. Quieto mi faccio
vestire.
Tiro su
le braccia e mi infila una cosa che di sicuro mi farà sudare.
Mi
guardo allo specchio e sembro quel losco figuro che mi ha frustato in salotto.
Mentre
sono sull’altare e la testa mi gira tra le navate e i colonnati, penso che con
un bicchiere in più avrei visto tutti i santi del paradiso più facilmente che
con mille preghiere.
Intanto
il taglio sulla mano continua a sanguinare e mi sporco un po’ la veste.
Dalla
prima fila, il signore che mi ha chiesto se ho visto la luce, sghignazza
sommessamente con un ramo d’ulivo in mano.
Dal suo
labiale leggo: “Buona Pasqua Don Mario”.